Di Ivan Morlino
Oltre all’Italia alle prese con l’emergenza Coronavirus c’è un’altra Italia più grande che, nascosta dai riflettori e in silenzio, deve far fronte alla carenza d’acqua. Un’emergenza che, tradotta in vita quotidiana, significa campi completamente a secco, meno prodotti agricoli sulla nostra tavola e prezzi più cari al mercato.
Nelle regioni del Centro-Sud la situazione è ancora più difficile, a causa dell’allarme siccità. Inoltre, la diga di Occhito è semivuota (può contenere più di 250 milioni di metri cubi) con un’autonomia idrica molto limitata. I cittadini di Capitanata potrebbero correre il rischio di vedersi razionata l’acqua dal rubinetto con un Natale senz’acqua, come realmente accadde nella stagione 2000/2001 quando si arrivò a prelevare con tubi di fortuna l’acqua un po’ sabbiosa sul fondo della diga (il cosiddetto volume morto).
Nell’invaso sul fiume Fortore ci sono oggi 38,5 milioni di metri cubi d’acqua a fronte dei 100 milioni di un anno fa. Si spera che riprendano le piogge e che la diga torni a riempirsi, perché senza irrigazione anche i bilanci restano all’asciutto.
«Fino ad ora la temperatura è stata in Italia superiore di 1,65°C la media storica secondo le elaborazioni su dati Isac Cnr relativi ai mesi di dicembre e gennaio» (https://www.ilpuntocoldiretti.it/tag/clima/).
Inoltre, l’ultimo Atlante mondiale della desertificazione elaborato dal Joint Research Centre (Jrc) dell’Ue mostra che il 20% del territorio del Sud dell’Italia è a rischio desertificazione.
Probabilmente, non abbiamo ancora sperimentato gli effetti catastrofici di una siccità o immaginato una città senza acqua.
Alla luce di ciò, sorge spontaneo domandarsi quali soluzioni si possano adottare. Per citarne solo alcune:
- Razionalizzare i consumi idrici domestici; adottare regolatori di flusso per docce, frangigetto, interruttori di flusso; migliorare abitudini e comportamenti, ad es. chiudendo il rubinetto mentre si lavano i denti, azionando la lavatrice o la lavapiatti solo quando sono completamente piene, etc.
- Occorre un uso efficiente delle risorse, nonché incoraggiare gli operatori del settore agricolo a puntare sulla crescita di raccolti a minor consumo idrico, come ad es. alcuni vigneti con maggiore resistenza alla siccità.
- Adottare nelle città (regione, nazione) dei piani d’azione e/o di coordinamento per mitigare gli effetti degli eventi estremi di alluvioni e siccità, incluso lo sviluppo di infrastrutture verdi (riforestazioni fuori città), di serbatoi per la raccolta di acqua piovana (dove possibile);
- Acqua “riciclata” da scarichi fognari, anche attraverso i processi ad Osmosi Inversa;
- Desalinizzazione dell’acqua di mare (moderne tecnologie riducono i consumi energetici);
- Progettare bacini idrici nei pressi delle città e quindi pensare non alle grandi reti ma a un sistema che possa contribuire a frammentare i fenomeni cui andremo incontro;
- Ridurre le perdite, la lotta agli sprechi e il prelievo illegale della risorsa;
- Secondo uno studio condotto da Allan Savory (biologo), attraverso una gestione olistica delle praterie e attraverso strategie di “pascolo-pianificato” (incremento del numero del bestiame, del pascolo e mediante la sua gestione) si può imitare la natura e invertire il processo di desertificazione;
- Riprogettare il territorio, gli standard costruttivi per gli edifici e le infrastrutture del domani.
Occorre mettere in campo strategie importanti per l’ambiente su più livelli (ricerca scientifica, formazione specialisti, informazione pubblica) altrimenti i “costi del fare” fagocitano i costi per la sua “cura”. Un preciso monitoraggio ambientale, attraverso la ricerca scientifica, può individuare le linee di tendenza. Da questa evoluzione discende la necessità di un profondo cambiamento culturale, che modifichi non solo le aspettative dei cittadini, ma anche la professionalità dei protagonisti.
Il seme di questo profondo e ineluttabile cambiamento deve coinvolgere anche la comunità educante attraverso i processi virtuosi per la formazione degli alunni.
Si badi che una comunità in grado di rispondere agli eventi climatici estremi e di sfruttare e assecondare la forza degli ecosistemi di tornare alla normalità è una comunità più sicura, capace di guardare al futuro delle nuove generazioni. La tutela dell’aria, dell’acqua e del suolo influenzano la qualità della vita dei cittadini, protagonisti della loro salvaguardia.
La desertificazione si può fermare quindi? “Tuttavia – ha sottolineato Luigi Nicolais ex-presidente del Cnr – l’impegno degli scienziati, lo sviluppo di tecnologie ecosostenibili, le grida d’allarme lanciate possono ben poco senza una straordinaria e convinta mobilitazione della politica, un radicale cambio di passo dell’economia e dei sistemi produttivi, la responsabilizzazione diretta dei singoli”.