di Pino Aprile – Il 24 agosto ci si trova, quanti vorranno, alla Grancia (Brindisi di montagna, Potenza), per far nascere una iniziativa politica di emergenza democratica. Chi c’è c’è (astenersi razzisti), per formare una alternativa per le prossime elezioni, sbarrare la strada a Salvini e capovolgere il sistema che ha retto finora questo Paese: sottrarre a una parte, accusandola pure di essere mantenuta, per mantenere e arricchire l’altra.
Salvini e la Lega sono solo l’ultima e peggiore manifestazione della bulimia di risorse pubbliche che dota il Nord e il Centro di infrastrutture decenti o persino all’avanguardia, treni ad alta velocità, autostrade, anche inutili e dannose, come la Brebemi o le pedemontane lombardo-venete, istituti di ricerca pagati da tutti ma rigorosamente padani, eccetera; mentre in quasi metà del Paese è quasi o del tutto impossibile raggiungere un posto in treno o con una strada che non sia dissestata, piena di buche, mezzo franata.
Questo Paese doppio, uno europeo e uno meno che nordafricano è il risultato di scelte politiche nazionali da un secolo e mezzo, con la complicità di classi dirigenti locali (come nelle colonie, sono stati favoriti e sostenuti i complici di tale sistema e avversati quanti vi si opponevano, a volte pure a danno della loro vita: sindacalisti, magistrati, amministratori e politici non collusi sono stati uccisi, sino a che non è stato imposto e… compreso il metodo della selezione). In questo, non c’è quasi mai stata vera distinzione partitica: ogni volta che si è trattato di monopolizzare risorse pubbliche, il Nord ha agito in blocco, come la vicenda dell’Autonomia differenziata per togliere altri soldi al Sud ha mostrato: dalla Lega al Pd, incluso M5S del Nord, Forza Italia e Fratelli d’Italia del Nord tutti insieme per disegnare un Paese a diritti differenziati in rapporto alla ricchezza, pretendendo risorse ulteriori, proporzionate alla ricchezza dei territori, innescando, quindi, un meccanismo che si auto-alimenta e leva sempre più ai poveri per dare sempre più ai ricchi (tali, in gran parte, per aver preso di più da quel che doveva essere uguale per tutti: basti guardare la differenza di infrastrutture).
Non è, come pure potrebbe sembrare, una rivendicazione meridionalista: un Paese che non riconosce a tutti i suoi cittadini uguali diritti non è un Paese, ma un sistema malato. In tal senso, l’Italia non è mai stata unita, ma divisa. Un Paese così fatto genera disaffezione, distacco, risentimenti e persino odio (la Lega si nutre solo di quello ed è nata sfruttando il razzismo contro i meridionali). Sino all’apparente assurdità (ma la psicologia e la psicosociologia spiegano bene il fenomeno) che vede tanti meridionali votare per la Lega e Salvini stesso, che per decenni li hanno insultati e ancora li privano (complici gli altri) di diritti elementari: alla salute, all’istruzione, alla mobilità; persino al rispetto. Un Paese così era, esasperando le differenze, il Sud Africa, prima di abolire l’Apartheid che di fatto c’è sempre stata in Italia, e che ora si vuole sancire per legge.
Questa situazione è entrata nelle coscienze e persino chi ne è vittima la giustifica incolpandosene (quei meccanismi psicologici: la donna violentata spesso si sente sporca e si vergogna, a volte diviene succube del violento e la stessa società cerca le colpe della vittima: “Lo ha provocato…”). E non ci si accorge nemmeno più di quanto sia discriminatoria e oppressiva, di quanto mortifichi la dignità di un terzo degli italiani.
Ma l’azione politica che si vuol far nascere per correggere queste storture non è, ripeto, una pura rivendicazione meridionale: i valori sono universali, o non sono tali. Se a una città viene negato il treno, poco importa che sia Matera o Sondrio: ci sono degli italiani ritenuti di serie B e il cui diritto ad avere quanti altri hanno già viene sempre dopo il superfluo da aggiungere a chi già ha. Ovunque ci sia un nostro simile la cui qualità umana viene ridotta, la nostra qualità umana è in pericolo (da uno si comincia, poi tocca agli altri…).
Quindi, una azione politica risanatrice non può avere come valore un territorio o i suoi abitanti (questo lo fanno i razzisti), ma il principio che cittadini di uno stesso Stato debbano avere diritti, possibilità e trattamenti uguali. Per quanto possa suonare male: l’equità è il valore, non il Sud o altro riferimento geografico, etnico. La denuncia diviene (appare) meridionale, perché il Mezzogiorno e i suoi abitanti sono stati discriminati e deprivati.
Ora la misura è stracolma. Mai, nei quasi 160 anni di finta unità a mano armata, il divario fra Nord e Sud è stato così ampio; ed è voluto, costruito. Il Mezzogiorno è in calo demografico, come avvenuto soltanto per le stragi risorgimentali dei piemontesi e per la più assassina epidemia della storia dell’umanità: la “spagnola”, dopo la prima guerra mondiale. E il futuro del Sud se ne va con i giovani, costretti a cercarne uno in giro per il mondo. Le nostre regioni, che mai, in millenni erano state terra di emigrazione, si stanno riducendo a un gerontocomio in fase di spopolamento.
Non c’è altro tempo per reagire. E i segni di un Sud che vuol farlo, e da protagonista (nonostante le succubi, ma instabili orde salvinian-terroniche), sono ormai colti da tutti. Si annuncia (vero? Falso?) un partito “sudista” con a capo Giuseppe Conte. E già le parole usate mostrano quanta improvvisazione vi sia in questo “fiondarsi a Mezzogiorno”: “sudista” è un termine dispregiativo coniato e usato dai nemici del neo-meridionalismo, di solito accoppiato ad altri quali “nostalgici”, “revanscisti”, neoborbonici… (a tutto quello che appartiene alla storia dei vinti non iscritta in quella dei vincitori sono date connotazioni negative). Ma fa niente, verrebbe da commentare, se questo vuol dire che se ne sono finalmente accorti, va bene uguale! E il presidente campano Vincenzo De Luca si propone a guida di un soggetto politico meridionale, a difesa dei diritti finora calpestati. Il dissidente di Forza Italia, Giovanni Toti, cerca di sfilare il partito a Berlusconi e, forse sulle orme di Salvini che ha fatto vendemmia a Sud, partirà con il suo progetto da Matera, il 2 settembre.
Tardi ma ci arrivano… E lo fanno a loro modo, cercando di intestarsi qualcosa che c’è, ma informe e senza guida, per usarlo a proprio vantaggio. Ma ora sanno che il Mezzogiorno non è più un corpo morto e, sia pur confusamente, qualcosa fa e quando lo fa è determinante; ripeto, è un dato di fatto, ormai: vince chi vince al Sud. Nel 2015, alle regionali, il Pd fece il pieno e prese il governo di tutte le regioni meridionali. Letta, Renzi e Gentiloni provvidero a far pentire chi li aveva votati a Sud. E alle politiche 2018, quei voti migrarono in blocco sui cinquestelle, che divennero, grazie a ciò, il primo partito italiano. Per allearsi con la Lega e veder svanire in pochi mesi il capitale di consensi; raccolto in parte proprio dal partito sorto razzista contro i terroni.
Senza rifare tutto l’elenco, tutto questo mostra un Mezzogiorno magari un po’ troppo ballerino, ma che non è più patrimonio inerte di nessuno: agisce da soggetto politico unitario e detta l’agenda ai partiti, non avendone uno proprio. La vicenda dell’Autonomia differenziata è stata uno choc, per l’Italia di lorsignori: era cosa fatta; i padroni del potere si erano messi d’accordo, con l’ammucchiata a scopo di rapina fra Lega, Pd, FI e FdI del Nord, contro i meridionali, cui rubare altri soldi. La campagna di informazione condotta da un gruppetto di docenti, scrittori, meridionalisti, ha reso pubblico quello che si teneva nascosto (il furto del secolo), raccolto in pochissimi giorni 60mila adesioni, indotto il M5S (va detto) a far le pulci all’alleato e a frenare sullo scempio programmato.
Quel mondo abituato a fare a suo piacimento, nel silenzio complice della classe dirigente del Sud (e chi non taceva, segato), ha scoperto di non avere più le mani libere e che il Mezzogiorno può fare la differenza. E la fa. La sorpresa li ha letteralmente disorientati. E quando è arrivata una cosettina (ma proprio una cosarella, giusto per far capire quale direzione prende, in autunno, il risveglio del Sud), il boicottaggio del prosecco veneto da parte di bar e ristoranti meridionali, si è sparso il panico in campo subalpino. Sì, la feritina al portafogli bene non gli fa, ma quello che fa sbarellare è l’idea che il tressette del potere nazionale non sia più con il morto, ma con un giocatore che sa di avere carte, come gli altri e intende giocarle come dice lui, non limitarsi a tenerle in mano per calare quelle che gli dicono. È finito un tempo.
Ma proprio questo è il momento più delicato, in cui tutto si può perdere e quanto costruito sinora finire, per impreparazione, indecisione, nelle mani di qualche Jack Lo Svelto che, privo di remore e carico solo dei propri interessi, magari luridi, si rivela da oggi a domani paladino del Sud, pronto a mettersi al timone, per venderselo al miglior offerente (lo abbiamo appena visto, nel campo della comunicazione e della politica locale). Quindi (mentre Forza Italia si professa presidio del Sud, nel centrodestra e avvisa la Lega, Salvini e il Pd di Zingaretti miravano a elezioni subito, per spartirsi le spoglie del M5S che resteranno sul campo; il M5S cerca di recuperare il tesoro dilapidato), ora ci tocca. E tocca a tutti: ci sono movimenti e partiti, comitati che in tutto il Mezzogiorno hanno fatto cose egregie, ma sono scollegati (talvolta, persino reciprocamente ostili, ma non è la norma, pur se lo sembra); ci sono politici e parlamentari, in ogni partito, che hanno operato bene, con coerenza, in difesa del diritto del Mezzogiorno all’equità e più di qualcuno ne ha dovuto pagare il prezzo (però può guardarsi allo specchio senza vergognarsi) e ce ne sono pronti a uscire dai loro gruppi politici, per poter sostenere, senza più freni di parte, la loro battaglia per il Sud; ci sono docenti universitari, scrittori, giornalisti che hanno combattuto una dura ma entusiasmante battaglia di civiltà contro i razzisti dell’Autonomia e non possiamo permetterci di perdere il loro valore (guardate che il mondo accademico è terribile e per esporsi, ci vogliono le palle. È stato bello vedere tanti docenti mettere la competenza e la faccia in una impresa così difficile ma doverosa); ci sono associazioni meritorie che da decenni lavorano, perdendoci tempo, soldi, salute e pezzi di fegato, al recupero della verità storica che ci è stata negata e da cui trae alimento la ricostruzione della nostra identità; ci sono giornalisti che han fatto e fanno un lavoro faticosissimo, per scoprire come e quanto il potere Nord-centrico toglie a Sud, con mille trucchi, colpi di mano (e questa non è una attività che ti fa far carriera nei giornali…); ci son persone che si uniscono per combattere (e si rischia forte) contro gli avvelenatori della propria terra e della propria gente, da Taranto alla Terra dei Fuochi, da Augusta, Gela, Priolo alla morte petrolifera di Basilicata, pur taciuta da “voci potenti per il vaffanculo”, dalla politica alla società civile, mute perché non si parla a bocca piena; ci sono esperienze meravigliose di economia dal basso, con forze minime, idee grandi e risultati sorprendenti; ci sono imprenditori che stanno dicendosi di non poter limitare il loro compito nella società al darle qualche decimale di pil in più; ci sono sindaci che non accettano più acriticamente, o per sudditanza partitica, o per ignoranza (le cose le fanno di nascosto e non sempre sai come ti stanno fottendo), di vedere i propri Comuni derubati dallo Stato e fanno causa, a decine, dimostrando che il loro primo dovere è pretendere diritti e rispetto per i concittadini discriminati; ci sono sindaci, gruppi parrocchiali, centri sociali che inventano e praticano forme di accoglienza inclusiva che distruggono la paura, generano civiltà, ci fanno “restare umani” (un reato, da quando il ministro dell’odio usa la polizia per rimuovere striscioni evangelici); ci sono…
Ci sono, ma quasi sempre non sanno che ci sono anche gli altri. Lo ripeto: «Siamo tanti, ma non lo sappiamo», diceva don Paolo Capobianco, figlio dell’ultimo nato duosiciliano, mentre Gaeta si arrendeva alle bombe dei fratelli carnefici d’Italia.
E vorrei poter dire, alla Grancia, il 24 agosto (ci si vede alle 9,30): “Ci siamo!”. Decideremo lì, insieme, il nome e la forma di quel che nascerà. Sarà una creatura che avrà anime solitamente incompatibili e che dovrà accordarsi su un programma minimo e condiviso (razzisti esclusi). Dovremo tener conto solo di quello che unisce, visto che da troppo tempo riusciamo a dividerci sul dettaglio, pur avendo quasi tutto in comune. Molte barriere sono state superate e la vicenda della lotta alla Secessione dei ricchi ne è prova. Ora possiamo fare quello che forse prima sarebbe stato prematuro; e dobbiamo farlo, perché è l’ultimo momento utile.
Potremo candidare persone di valore, che sono sempre rimaste ai margini, per incompatibilità di opinioni e, diciamolo…, per prudenza. Ma adesso in molti sono disposti pure a turarsi il naso, se necessario, e fare muro, perché quando i barbari tentano l’ultimo assalto, ogni contesa interna viene accantonata, per affrontare il pericolo maggiore e comune. Non possiamo permetterci di sprecare niente.
Non ci sono patti preconfezionati, soluzioni già in tasca. C’è qualche idea e altre ne arriveranno. Ci vediamo alla Grancia, il 24 agosto, alle 9,30. Il Sud riparte da sé, avendo qualcosa da dire.
Punto primo: il tempo della discriminazione, del meridionale “meno” (diritti, infrastrutture…) comincia a scadere il 24 agosto prossimo. È durato troppo. Ma ce ne siamo accorti.