Ci sono questioni che non possono essere affrontate solo nelle sedi competenti ed istituzionalmente deputate ad affrontarle, ma che meritano di essere urlate al cielo e che necessitano di una forte presa di coscienza da parte della comunità cittadina.
E’ la vicenda del nostro ospedale, quello nel quale ci siamo recati almeno una volta nella vita, se non per noi, per i nostri cari; quell’ospedale che non ci ha fatto avvertire la fatica ed il patema di un viaggio, magari per una prestazione di routine, e che ha rappresentato per tutti noi un punto di ancoraggio psicologico nei momenti emergenziali che la vita, purtroppo, non ci risparmia.
Il San Camillo de Lellis, inaugurato negli anni 50, che fino a qualche anno fa, prima che si compisse lo scellerato disegno di ridisegnazione (meglio, “sventramento”) del sistema sanitario regionale, contava un’utenza proveniente da tutti i centri viciniori (Zapponeta, Mattinata, Monte S. Angelo e persino Vieste), è abbandonato, nel silenzio assordante delle Istituzioni, al suo triste epilogo, con criticità gravi in termini di organico e persino di apparecchiature, alcune delle quali necessiterebbero di rimodernamento. Pochissimi medici, interventi solo programmati per la gravissima carenza di anestesisti, che eroicamente sopportano turni insostenibili, reparti chiusi, e nubi fosche che si addensano all’orizzonte per ciò che rimane.
Persino il servizio trasfusionale corre il rischio di perdere l’accreditamento istituzionale, giacchè dei quattro dirigenti medici previsti come minimo dal Regolamento Regionale 15/13 (oggi elevato a sei unità dalla Delibera di Giunta Regionale 900/17), ne sono in servizio solo tre, numero che non viene rimpinguato.
Difendere il “Nostro” Ospedale è un dovere di tutti i cittadini, di qualunque fede politica, sensibilità, cultura. Difendere e promuovere persino l’immagine del nosocomio sipontino, significa difendere la nostra stessa Identità, offesa a più riprese da chi ritiene che la risposta al diritto di salute dei cittadini debba avvenire seguendo una logica algoritmica e finanziaria che trova la sua causa nella incapacità di individuare soluzioni adeguate ai mali atavici di cui soffre la Sanità, pensando che la eliminazione sostanziale dei presidi di prossimità, gli ospedali periferici e non solo, possa essere la risposta efficace a tutte le disfunzioni del sistema.
Ma dobbiamo crederci noi stessi! Ecco perché, in prima persona, ho ritenuto di dare un tangibile segno di fiducia incondizionata alle eccellenze (e ve ne sono!) del nostro ospedale, ritenendo di fare sottoporre ad intervento chirurgico la persona che amo più della mia vita, mia madre. Come difendere nelle sedi istituzionali il nostro ospedale, se poi per primi ci rechiamo altrove, anche per interventi fattibili a Manfredonia? Come esaltare le capacità dei medici, degli infermieri, del personale ausiliario, se poi, al di là di difese d’ufficio (che pochissimi, per la verità, hanno avuto la sensibilità di sostenere) ci rechiamo altrove? Ho trovato, nel reparto di ortopedia, professionalità, serietà, disponibilità, da parte di tutti gli operatori e credo di poter dire lo stesso di tutti i medici, infermieri ed ausiliari anche di altri reparti, con cui sia venuto in contatto. Ho trovato anestesisti -solo tre in servizio per un bacino di utenza di quasi “100.000 vite”- costretti a garantire la propria presenza h 24 (uno solo per turno!) che rinunciano al riposo settimanale, alle ferie, sacrificando, come altri medici, la propria libertà e le proprie famiglie, pur di portare avanti il nostro Ospedale.
Per queste ragioni non possiamo cedere alla tentazione, sempre presente e pericolosa, di rassegnarci che tutto debba finire. In questa Città dolorante dobbiamo decidere se valga ancora la pena di combattere per difendere ciò che conta di più: il diritto alla Salute. Io ho deciso di stare al fianco di chi ogni giorno, nelle sale del S. Camillo, tra mille difficoltà (che ho verificato di persona) continua a crederci. Facciamolo insieme! /com