“Vogliono distruggere il settore acqua e depurazione, e in particolare Aqp, perché probabilmente confidano nell’abolizione – dopo la povertà – della sete, della cacca e della pipì; cioè ciò che in burocratese si chiama servizio idrico integrato. Una proposta di legge farcita di ideologia contro la buona gestione, il risparmio e il senso del ridicolo, per guastare ciò che funziona, nella furia di dire ‘io c’ero’ e con la conseguenza di far tornare i vecchi carrozzoni mangia-soldi”. Lo dichiara Fabiano Amati, presidente della commissione regionale Bilancio, commentando la proposta di legge “Disposizioni in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque” presentata alla Camera dei deputati da 202 grillini (prima firmataria Federica Daga).
“Questi 202 ragazzi meravigliosi – prosegue Amati – propongono di gestire il servizio idrico integrato attraverso aziende speciali o enti di diritto pubblico (art. 10 comma 8), limitatamente a chi oggi svolge l’attività con società a capitale interamente pubblico (cioè Aqp e Acquedotto lucano), caricando di fatto le spese per gli investimenti sulla fiscalità generale o su contributi pubblici (cioè nuove tasse), in quanto quel modello di gestione (così come accadeva in passato per l’Eaap) difficilmente potrebbe ottenere credito bancario. Per fare l’esempio di Aqp – spiega il consigliere regionale – su un programma di investimenti di 1.500 milioni di euro, difficilmente, un ente pubblico o azienda speciale potrebbe ottenere credito bancario per 1.000 milioni di euro, così come è accaduto per Aqp e il suo lusinghiero rating, considerato che la Regione o i Comuni mai e poi mai potrebbero offrire le garanzie del caso, perché queste impoverirebbero i bilanci regionali o comunali”.
“Che l’intero impianto della proposta – sottolinea Amati – sia contro la Puglia e AQP (sperando che i deputati pugliesi l’abbiamo firmata senza leggere) si nota dal fatto (art. 10 comma 6) che tutti gli altri gestori italiani potranno, invece, mantenere le modalità societarie, con il solo obbligo di assumere in capo al pubblico il 100% del capitale. Cioè come è ora per Aqp. Insomma, tutti gli altri gestori italiani possono fare come facciamo noi ora, mentre noi dobbiamo fare per forza come si faceva ai tempi dell’Eaap”.
“In termini di principi generali, inoltre, propongono di gestire il servizio – aggiunge ancora l’esponente Pd in Consiglio regionale – secondo il modello pubblico (art. 9 comma 2), come se le gestioni pubbliche in Italia si potessero definire un modello. In realtà ciò che funziona è una proprietà pubblica con modello di gestione privato, cioè come se stessimo gestendo gli affari di casa nostra. Come abbiamo fatto negli ultimi anni per Aqp”.
“Sottolineando, infine, la grande confusione e contraddittorietà dell’intero impianto della proposta, l’iniziativa – sottolinea Fabiano Amati – è stata probabilmente sottoscritta pure per appagare il ridicolo e il cabaret. Infatti, per affermare la competenza esclusiva del Ministero dell’Ambiente in materia regolatoria (art. 8 comma 1), si arriva a far diventare la natura destinataria di diritti (‘il diritto della natura’). Per questo, una diga non si potrà più costruire per raccogliere acqua e frenare pure la sua naturalissima ‘furia’ all’interno di un corso d’acqua, mentre l’uomo avrà solo il diritto di bere (‘diritto all’acqua degli esseri umani’) alla condizione di non disturbare (‘diritto all’esistenza degli altri esseri viventi’) una nutria o un falco grillaio nella costruzione o gestione di un qualsiasi schema idraulico. Cioè – conclude – la follia”./com